Descrizione
La città di Tarquinia (l’etrusca Tarchna o Tarchuna) è tra le più antiche città etrusche della Tuscia: essa nasce su un altopiano tufaceo chiamato La Civita, dopo importanti insediamenti precedenti, di epoca villanoviana (IX – fine VIII sec. a. C.). La leggenda narra che non lontano dal fiume Marta, da un solco appena aperto dall’aratro, balzò un essere divino, fanciullo nell’aspetto e vecchio nella saggezza, che rivelò agli Etruschi la disciplina della loro religione. Tarchon (fratello o figlio di quel Tirreno che avrebbe guidato l’emigrazione etrusca dalla Lidia), al quale il fanciullo che si chiamava Tagete era apparso, fondò nel luogo del prodigio una città sacra, alla quale dette il nome Tarchna, cioè Tarquinia. Col tempo Tarquinia diventa così grande che per estensione e numero dei cittadini è eguagliata solo da Atene dopo la vittoria sui persiani. Tarquinia conosce infatti un periodo di particolare fioritura nel corso dell’VIII sec. a.C., quando il territorio dipendente da essa probabilmente include anche i metalliferi Monti della Tolfa, in seguito passati nel possesso della vicina Caere. La posizione favorevole, vicino al mare e dominante la vallata del Marta, fino al Medioevo fiume navigabile, permette il controllo del territorio interno e del traffico marittimo. Sono proprio l’agricoltura, l’allevamento ed il commercio (soprattutto dei minerali estratti sui monti della Tolfa) a determinare la crescita economica, demografica e politica di Tarquinia etrusca. In questo periodo importanti nuclei di abitati con annesse necropoli (Poggio dell’impiccato, Poggio Selciatelio, Poggio Quarto d’Archi, Poggio Gallinaro ecc.) circondano l’altopiano della Civita.
In epoca orientalizzante (VII sec. a. C.) nasce la città, governata da un ceto aristocratico, che costruirà per la propria sepoltura grandi tumuli situati in punti ben visibili sui pianori circostanti la Civita. L’affermarsi di Tarquinia come una delle più potenti città-stato all’interno della Lega Etrusca, forte di legami commerciali stretti con la Grecia e l’Oriente, si rispecchia nei reperti provenienti dal suo porto, Gravisca, i cui santuari sono frequentati da mercanti greci.
Nell’epoca arcaica (sec. VI a. C.) nasce anche la prima costruzione sacra all’interno dell’Ara della Regina, un santuario dedicato ad Artumes (equivalente della greca Artemide). In questo periodo la necropoli più importante della città, i Monterozzi, si popolerà di tombe ipogee a camera, scavate nel banco calcareo, di cui circa il 2 per cento privilegio di un ristretto ceto aristocratico, con affreschi policromi di notevole livello artistico. Questi affreschi, realizzati in parte da artisti greco-orientali, in parte dai loro seguaci etruschi, costituiscono un’importantissima testimonianza della vita quotidiana etrusca, nonché della storia della megalografìa dell’epoca arcaica in genere. Roma stessa, a partire dalla fine del VII sec. a.C., subisce l’influsso della potente città etrusca da cui proverranno due dei suoi sette re (Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo).
Nel v secolo la crisi generale che investe l’Etruria soprattutto dopo le sconfitte militari riportate a Himera (480 a. C.) e Cuma (474 a. C.) ad opera dei Greci di Siracusa, interessa anche Tarquinia. Tuttavia la città vivrà un secondo periodo di relativa fioritura nei secoli IV e III a.C., guidata da ricche famiglie nobili (Pulenas, Partunus, Camna, Pumpu, Avethna ecc.) che traggono beneficio dalle loro proprietà terriere. In questo periodo, caratterizzato da una progressiva espansione militare romana (nel 373 a.C., con la conquista della roccaforte di Sutrium, Roma e Tarquinia divengono vicine), Tarquinia capeggerà la Lega Etrusca in lunghe e sanguinose guerre, una delle quali, iniziata nel 358 a.C., porterà la città nel 351 a.C. sull’orlo della disfatta totale e la costringerà a chiedere una tregua di quarant’anni. Le due città si affronteranno nuovamente nel 311 a.C., ma dopo appena tre anni Tarquinia verrà definitivamente sconfitta.
Nel periodo romano la città sembra vivere una fase di nuovo splendore, di ricordo nostalgico del passato, di rievocazione dell’antica potenza.
In realtà inizia il suo lento declino, tanto che nel 205, quando Scipione chiede contributi alle città etrusche per la sua impresa in Africa contro Annibale, la potente e ricca città d’un tempo non offre che tela per le vele. E mentre da una parte Roma le sottrae porzioni vitali del territorio, specialmente sul mare, all’interno i centri antichi ad essa tributari si rendono progressivamente indipendenti. Nel 90 a.C. le è concessa la cittadinanza romana e diviene municipio, ma con la morte di Giulio Cesare e con l’avvento dell’Impero finisce la storia della Tarquinia etrusca.
Nella prima età imperiale Tarquinia è un centro secondario dell’Impero, posto a controllo del tracciato costiero della via Aurelia. Con la crisi dell’Impero si assiste allo spopolamento; nel IV secolo d.C. diviene sede vescovile, ma le successive invasioni barbariche (disastroso il saccheggio dei Visigoti di Alarico), la malaria e la caduta dell’Impero stesso portano, come in molte altre zone della Tuscia, ad un forte calo della popolazione.
Al VI secolo è databile il trasferimento, ancora non chiaro sulle reali cause che lo indussero, dell’antico abitato all’attuale sito, sul colle chiamato Corneto, dove si sviluppa la moderna Tarquinia. L’abitato medievale è segnalato nel 649 in un documento di Boezio. Alcune testimonianze risalgono al 743 e 861, riferite ai vescovi Lando e Paolo.
Nel periodo medioevale, con la lenta ripresa delle attività economiche, Tarquinia si arricchisce e si ripopola, dotandosi di una possente cinta muraria e di una serie di fortificazioni (fasi del IX e X secolo), divenendo nella seconda metà dell’XI secolo possedimento feudale della contessa Matilde di Canossa.
Intorno all’anno mille Corneto è una città marinara, prospera e aperta a tutte le esperienze culturali che le giungono da terra e da mare. Sperimenta soluzioni architettoniche sempre più audaci nelle pregevoli chiese romaniche di San Martino, tuttora sede parrocchiale, San Salvatore, San Giacomo, l’Annunziata, affacciate su dirupi di sasso vivo verso la valle del fiume Marta e le colline degli Etruschi e soprattutto Santa Maria in Castello, la chiesa romanica più grande della città, con l’abside rivolto verso il mare, che con la sua mole e l’alta torre, servivano da riferimento alle navi, e la Basilica, accanto alla quale svetta la torre più alta della città, grande forte, serena, racchiusa in solide masse di macco dorato.
In età comunale le ricche attività marittime, ma anche la fiorente agricoltura, portano la città ad avere un ruolo non secondario nei rapporti fra i vari Stati, sino ad allearsi con Pisa ed a mantenere proficui rapporti con Venezia, Genova e Ragusa. Viene costruito il palazzo civico e sono sperimentati precocemente alcuni elementi fondamentali del gotico negli impianti romanici delle chiese di San Pancrazio, San Giovanni Gerosolimitano e San Francesco. Intorno a queste chiese si sviluppa un intrigo di stradine che conservano ancora oggi intatto il loro tessuto medievale, tra archetti, case, profferli, palazzetti, monasteri e torri. Le torri costituiscono la caratteristica più spettacolare del panorama tarquiniese. Di 20 rimangono solamente le basi, tagliate all’altezza delle abitazioni, mentre le restanti 18 sono ancora intatte o abbassate di poco.
Nel frattempo però, la storia prosegue con il terrificante assedio di Federico II (1245), e quindi con un secondo assedio portato dal Podestà (1283); nel 1330 la popolazione si ribella all’oppressivo governo di Matteo Vitelleschi. In seguito i Cornetani lottano contro il cardinale Albornoz che, però, riesce a conquistarla nel 1355. Nel 1393 un nuovo assedio, questa volta dei bretoni, è respinto dopo una lotta sanguinosa.
A cavallo tra il ’300 ed il ’400 Corneto raggiunge il massimo splendore, testimoniato dai circa 35.000 abitanti, le oltre 50 chiese ed i 7 ospedali.
Acquista di importanza un esponente della nobile famiglia dei Vitelleschi, Giovanni, cardinale e condottiero, uno dei cardinali cui la Chiesa demandava la difesa dei territori dalle invasioni, congiure e ribellioni: divenuto Comandante dell’Esercito Pontificio, in suo onore e per le sue origini Tarquiniesi, nel 1418 il Senato Romano concede la cittadinanza romana ai tarquiniesi.
Intorno alla prima metà del 1400 Giovanni Vitelleschi fa costruire due opere che connotano fortemente l’aspetto urbanistico della città: una sofisticata fortificazione nella cinta muraria e soprattutto il suo palazzo gotico-rinascimentale, ora sede del Museo Archeologico Nazionale. Suo nipote Bartolomeo ricostrusce ed amplia il Duomo nel quale si ammirano gli affreschi del Pastura.
Nel 1478 però la città è prostrata da una spaventosa pestilenza. Per favorire il ripopolamento urbano si fa ricorso allo stanziamento di nuclei familiari di origine lombarda e albanese. Successivamente la peste di Roma del 1492 costringe il pontefice Alessandro VI a soggiornare nella cittadina tirrenica.
Dopo la lunga parentesi “feudale” della famiglia Vitelleschi, nel XVI secolo la città entra a far parte del Patrimonio di San Pietro in Tuscia, viene cioè annessa allo Stato Pontificio. Nel Rinascimento il palazzo Vitelleschi vive quindi l’opulenta atmosfera della corte romana, ospitando spesso i papi, tra cui Paolo III Farnese, col loro largo seguito di alti prelati, dame, principi, paggi e falconieri per dedicarsi alla caccia e alle lunghe galoppate fino al mare.
Occupata dai Francesi nel ’700 e per poco tempo anche dagli Inglesi, dopo il congresso di Vienna torna a far parte dello stato pontificio. Annessa al Regno d’Italia nel 1870 con il nome di Corneto Tarquinia (trasformato nel 1922 nell’attuale Tarquinia), nel 1875 ospita per tre giorni Garibaldi.
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.